SAN GIOVANNI DI DIO narrato dal Celi – A cura di Fra Giuseppe Magliozzi o.h.

san-giovanni-di-dio-statua-barocca-abiti-in-stoffa128_6326Fra-Giuseppe-Magliozzi-o.h.Giuseppe Magliozzi (1938), San Giovanni di Dio narrato dal Celi. A cura di Fra Giuseppe Magliozzi o.h. Sintesi selettiva della seconda biografia di San Giovanni di Dio, pubblicata a Burgos nel 1621 da Fra Dionisio Celi o.h. Prefazione di Cristoforo Danielut, priore provinciale. Edizioni Fatebenefratelli, Milano1 (1a: Cetro Studj “San Giovanni di Dio”, Roma 1993). Pp. 94 + ìndice.

È il riassunto della biografia del santo fondatore del Fatebenefratelli, il portoghese Giovanni di dio (1493 ca. – 8 marzo 1550) scritta da Dionisio Celi ad integrazione di quella, poverissima, uscita nel 1585 a firma di Francesco de Castro; il cui frontespizio, riprodotto come illustrazione della copertina del volumetto, recita: MIRACVLOSA | VIDA Y SANTAS OBRAS DEL | Beato Patriarca Iuan de Dios Lusitano | fundador de la Sagrada Religion | que cura enfermos. | COMPVESTA POR EL MAESTRO | Francisco de Castro. | Aora nuovamente anadída y enmendada por vn | Religioso de la misma Orden. | [Fregio] | En Burgos, en casa de Ioseph de Mena [1621].

Il Celi ha semplicemente integrato il testo originario del Castro con altre testimonianze, molte leggendarie anche per la chiesa, correggendole solo qua e là, sicché i due stili, quello semplice e conciso del Castro e quello più gonfio e artefatto del Celi, stridendo denunciano le due diverse mani.

Il Magliozzi, priore di Manila nelle Filippine, specialista della vita del santo fondatore, ha semplicemente fatto un estratto dell’opera del Celi, conservando solamente le parti della di costui mano, e riducendo al minimo indispensabile quelle già note del Castro. L’interesse dell’opera risiede nel fatto che le notizie sul fondatore sono sempre state scarse e difficilmente verificabili, e che la biografia del Castro era apparsa a tutti gli ammiratori del santo (l’espressione è del Magliozzi: gli ammiratori del santo) penosamente insufficiente.

Quando nel 1590 Francisco de Castro era andato a Torino ad omaggiare del volumetto donna Sancha de Guzmán, conoscente di Giovanni di Dio e capogovernante (“camerera mayor”) della duchessina Caterina di Savoja, la pia dama aveva lamentato l’esiguità del testo, e aveva rimpianto d’esser donna, perché se l’ingegno gliel’avesse consentito avrebbe voluto ella stessa comporre coi suoi ricordi una biografia ben più sostanziosa.

Era saltato fuori nel frattempo un manoscritto, già in antico talmente consunto che fu copiato e mandato al macero. Quello che non ci si aspettava era di trovarne la versione a stampa non prima del XX secolo, tra i Rari della Biblioteca Nacional de Madrid; si crede si tratti di una copia unica: appunto il volume qui riassunto, sempre esiguo ma comunque più ricco di quello del Castro.

Il Celi ha infatti inserito le sue integrazioni sulla base di tale manoscritto, di cui è impossibile stabilire l’autore. Alcuni propendono per un fatebenefratello, altri per il noto collaboratore laico Angulo; che Magliozzi escluderebbe, dal momento che quando, nel XVIII capo, riferisce la storia delle quattro prostitute, Celi si rifà alla testimonianza dell’Angulo, citandolo esplicitamente, ciò che non avrebbe mai fatto in quei termini il diretto testimone. Il libretto fu poi stampato, con una fretta che lascia traccia vistosa sull’impaginazione, difettosa e penalizzante la lettura, nel 1621, giusto in tempo per fornire pezze d’appoggio al processo di beatificazione, concluso con la designazione da parte di Urbano VIII nel 1630; il pontefice tenne in effetti conto anche del materiale compreso anche nell’operina qui sintetizzata.

Col Concilio vaticano II fu dato impulso a recuperare tutto il materiale storico sulla fondazione dei vari ordini, con loscopo di recuperare la primitiva ispirazione, sia pure aggiornandola ai tempi mutati; ma già nel 1950 Giovanni di dio aveva avuto una biografia scientificamente attendibile, la migliore finora composta. Il Magliozzi definisce l’opera compilata dal Celi come una sequenza di quadretti, ingenui soprattutto per quanto riguarda le giunte del Celi, ma non privi di fondamento storico.

L’autore ha discrete conoscenze bibliche, che soprattutto per quanto riguarda la data della morte lo portano a qualche forzatura numerologica, tendente a suggerire un parallelo tra l’istante fatale e la folgorazione sulla via di Damasco. Era poi convinzione diffusa – come riflesso dell’antica effigie del santo, accompagnata dagli estremi biografici, riprodotta all’interno del volume – che fosse nato nel 1495, quando invece Magliozzi ipotizza che quando venne a morte fosse nel 58esimo anno dell’età sua.

pampuri-episodio-della-vita-di-san-giovanni-di-dio-negli-affreschi-del-porticato-delle28099ospedale-a-lui-dedicato-a-granadaL’ Ospedale di Granada

San Giovanni di Dio - im_FBF_SGdiDio_01Nasce dunque Giovanni di Dio da una famiglia di cui non è detto il nome all’incirca nel 1493 a Montemor-o-Novo, tra Lisbona ed Evora. I suoi genitori sono talmente pii che vivono in povertà a causa delle continue donazioni agl’indigenti. La sua nascita è accompagnata da qualche prodigio. Educato dai genitori assai religiosamente, Giovanni sin da piccino recita ogni mattina 24 ave e 24 pater in ginocchio perché è devotissimo alla madonna, che sopravvisse 24 anni all’unigenito. Passa ancor giovane in Spagna presso parenti facoltosi; da lì si sposta a 21 anni sul confine con la Francia, dove le armi di Carlo V difendono i possedimenti spagnoli. Qui Giovanni monta una giumenta strappata ai nemici, che riconoscendo i luoghi natii lo trascina ad una folle corsa, priva com’è di freno, fino a scagliarlo contro una parete rocciosa. Giovanni rimane per due ore esanime e privo di soccorsi perché è solo, col sangue che gli esce di bocca e dalle orecchie. Durante il deliquio è visitato dalla madonna in veste di pastora, che gli asperge il volto d’acqua e gli raccomanda le orazioni, ché chi se le scorda corre rischio di cadere. Risensando, Giovanni ricorda d’essersi scordato delle 48 orazioni, quella mattina, e chiede piangendo pietà alla vergine. Rimonta la giumenta, che lo riporta docilmente al campo, dove, al vederlo così pesto, i commilitoni credono che sia caduto in mano nemica; ma egli racconta quello che realmente è accaduto, che pare un miracolo, ed esorta tutti ad impetrare con la preghiera la grazia di dio, sola salvezza.

Terminato il servizio, ha desiderio d’andare in Africa. Incontra una famiglia portoghese, di nome de Almeida, costituita da genitori ormai anziani e da un numero imprecisato di figlie, che lo prendono con loro. Passano lo stretto di Gibilterra e si stabiliscono nella strategica Ceuta. Sapendo che l’infedele ha in animo di riconquistarla, Carlo V dà ordine che si fortifichi. I lavori cominciano proprio quando gli Almeida e Giovanni di Dio arrivano. I signori Almeida pregano Giovanni, non avendo altra fonte di reddito, di andare ad impiegarsi nella fabbrica delle fortificazioni, ché in questo modo darà sostentamento a tutti loro. Giovanni vi va giojosamente, e partecipa ai lavori per 13 mesi e 2 giorni, ed ogni sera porta a casa il salario, ch’è sufficiente a sfamare la famigliola.

Càpita purtroppo che i lavori subiscano 20 giorni d’arresto, e mancando il salario vien meno immediatamente di che sostentarsi. Nella disperazione Almeida gli dice d’aver fermo di passare in Marocco e farsi musulmano; le figlie, poi, si dedichino al mestiere che vorranno, che lui lontano non avrà a provarne vergogna. Allora Giovanni lo porta ad una chiesa, dove lo invita a pregare con lui; e il vecchio ne esce racconsolato e in uno vergognoso per esser trascorso a tanto. Giovanni infine riuscirà a vender due ferrajoli coi quali dar da mangiare agli Almeida.

Tornato poi in Spagna, per suo sostentamento normalmente raccoglie e vende legna. Col ricavato acquista libri di devozione e immaginette, che vende a loro volta. Durante i suoi giri s’imbatte in un bambino, che lo chiama per nome.

  • Giovanni lo ringrazia per averlo chiamato per nome, ma quando gli chiede chi sia, poiché non lo conosce, il bambino non gli risponde, e gli dice invece, essendo scalzo, di dargli i suoi sandali.
  • Giovanni con gioja glieli mette ai piedi; il bambino gli dice di toglierglieli, ché gli vanno larghi, e piuttosto portarlo in groppa, in modo da abituarsi a regger pesi.
  • Giovanni si prende in spalla lo strano bambino, e vanno. Il bambino è molto pesante, e ad un certo punto, nei pressi di certe acque correnti,
  • Giovanni gli dice volersi fermare per bere, e se lo smonta di dosso; il bambino ora ha in mano un melograno, e il frutto ha una spaccatura in forma di croce, e il bambino gli dice che è in Granada – gioco di parole tra il nome della città e quello del frutto, che in spagnolo sono identici – che Giovanni comincerà la sua santa missione; e scompare. Giovanni capisce d’aver avuto il privilegio di portare il cristo bambino, e vien meno.

Il primo periodo a Granada è complessivamente infelice (vi dovrà tornare più avanti, pieno di vergogna). Si sistema in via Elvera, dove apre una libreria. Sente un giorno predicare Giovanni d’Avila, e sconvolto fa un rogo di tutt’i libri profani. Messosi a confessare in pubblico i suoi peccati, è preso a sputi, male parole e bòtte. Il cristo bambino gli ha detto che d’ora in poi dovrà chiamarsi Giovanni di dio, ma lui non osa ancòra assumere quel nome; e quando il volgo, passando, fossero pure ragazzi, gli grida: Pazzo di Giovanni, bacia in terra!, lui si butta in terra e bacia il suolo tre volte.

È preso per pazzo, e chiuso in manicomio, dove gli somministrano la cura allora prevista per i pazzi: egli, legato alla colonna come il cristo, come il cristo vuole soffrire, e ringrazia la mano dei carnefici, che credendosi così sfidati gli fanno subire 11 cicli di nerbate, per un totale di 5000. È fatto liberare per interessamento di Giovanni d’Avila.

In altra occasione, a Fuenteovejuna, si metterà con le solite fascine in mezzo alla piazza principale, mentre piove a dirotto; pensa d’accenderle per asciugarsi, e chi lo vede lo schernisce, ma quando il fuoco s’apprende e comincia a divampare pensano ad un sortilegio, ed egli cade nelle grinfie dell’Inquisizione.

Si reca alla madonna di Guadalupe; la statua della madonna scende dall’altare e viene a deporgli il bambino tra le braccia. Il sacrista sopraggiunge, vede aperte le cortine che proteggono il simulacro, lo accusa di furto; ma il guardiano ha visto il miracolo, accorre e lo abbraccia, lo veste e lo rifocilla.

Torna Giovanni di dio finalmente in Granada, e trova una casa con una strana insegna: Si affittano stanze per i poveri. Incredulo, verifica se la targa dice il vero, ed effettivamente è così: da qui, dai 47 posti letto che ricava per i malati, nasce la sua pia istituzione, retta dalla pietà elemosiniera di chi ne stima l’opera caritatevole.

Suo primo confratello è Antonio Martín, gentiluomo, che si trova in città per intentare azione legale contro Pedro de Velasco, che gli ha ucciso un fratello e s’è impossessato d’un suo appezzamento di terra. Sono in molti che gli chiedono di perdonare, ma l’unica voce alla quale dà retta è quella di Giovanni di dio, che lo porta nel carcere in cui è custodito il Velasco; i due si abbracciano di fronte al santo, e sono i primi due fatebenefratelli.

Un giorno Giovanni si trova da solo presso una pia vedova; un uomo malfidente, Simón de Avila, si fa accanto alla finestra, e spia. Quando fa il giro della casa, vede che sulla porta sono stati scritti tutt’i suoi proprj peccati, ed una spada fiammeggiante vi punta sopra. Sviene, e Giovanni se lo trova davanti uscendo, e lo chiama, appellandosi alla clemenza di dio. L’uomo, rinvenuto, diventa terzo fatebenefratello.

Quando la casa dei poveri malati diventa insufficiente, sono gli stessi fatebenefratelli, tra cui Giovanni, a caricarsi in groppa i non deambulanti per portarli ad un ex-convento, un “carmen”, più spazioso.

La pazienza di Giovanni non ha limiti; gli si presenta un uomo che chiede di entrare nella confraternita, ma Giovanni dice che non ha le qualità spirituali adatte, e che serva dio in altro modo: l’uomo lo prende a male parole e gli sbatte una pietra in viso. I confratelli vorrebbero punirlo, ma egli lo proibisce, dicendo che chi non perdona non sarà perdonato.

Si reca nel quartiere povero abitato dai moreschi marrani, e qui un gruppo di giovinastri lo circonda dandogli la baja; un criptomusulmano gli grida: Che miracoli ha fatto il tuo cristo? Il santo risponde: Quello di sentire i tuoi scherni e non reagire è non piccolo miracolo del mio dio.

È richiamato dal vescovo di Tuy che lo esorta a mutare abito: siano i suoi sì poveri, ma puliti, ché con quelle vesti lacere e sozze fa venir ritegno alla gente di chiamarlo a desco; assuma inoltre tranquillamente, ormai, il nome di Giovanni di dio datogli dallo stesso cristo. Gli dà quindi investitura; Giovanni nomina il Martín superiore. La prima veste dell’ordine sarà di bigello, ossia di quel colore bigio del tessuto intrecciato di fili bianchi e neri; sopra, un mantello col cappuccio. Più tardi, la veste diverrà nera, col permesso del bianco per chi risiede ai Tropici.

Un giorno, salendo al monastero, incontra per la strada un paralitico, che lo implora di portarlo da lui. Giovanni, non più giovane, se lo carica senz’altro in spalla, ma dopo parte del tragitto gli si piegano le ginocchia, e cade col malato. Inutilmente si dà dell’asino vestito, promettendosi punizioni: non riesce a rialzarsi. Come osserva un testimone da una casa vicina, si fa una gran luce, e l’arcangelo Gabriele appare, si presenta, e porta in cima alla salita il santo e il paralitico.

Due anni e 3 giorni dopo lo stesso Gabriele annuncia a Giovanni che gli restano 40 giorni di vita. Giovanni fa una lista dei debiti, perché i più facoltosi li paghino dopo la sua morte. Rifiuta il cibo, dicendo che la madonna stessa gli provvede cibo celeste, e annuncia che è volontà di dio ch’egli non muoja nella casa – ciò che affligge confratelli e malati, ma tale è l’imperscrutabile volontà dell’ente superiore. Trascorre infatti poco più dell’ultima settimana di vita presso una nobile famiglia, i Pisa, e in questa casa si spegne.

Quando il libretto del Celi è dato alle stampe, il corpo del fondatore è ancòra presso i minimi. È lo stesso Celi che tenta di riscattare il corpo dall’altra confraternita, ma, in maggioranza, questi non accettano di dare il corpo per meno d’un censo da 4000 ducati, che i fatebenefratelli non possono permettersi; ed egli sospetta che essi abbiano alzato tanto il prezzo perché il corpo non è tanto integro come vorrebbero far credere.

Il corpo, in attesa di più degna sepoltura, rimane poi presso i Gerolomini per parecchio tempo; la bara è aperta due volte, la seconda in presenza d’un frate d’82 anni che ha presenziato alla sepoltura, e sa che col corpo devono esserci due mattoni e un rosario. Il corpo è consumato, e del rosario rimangono solamente due grani: diventano reliquie.

Tutti i resti del santo (santo solo dal 1690) saranno dati ai fatebenefratelli solamente nel 1664.

Il santo leggeva nei cuori: seppe per illuminazione che una donna non aveva mai confessato un aborto, e riuscì ad ottenere che si mondasse.

Una donna, che aveva il figlio che combatteva in Italia, dava sovente ai fatebenefratelli; un giorno, non avendo altro, poté dare solamente un po’ di sale. Il figlio, quando tornò, raccontò alla madre gli stenti patiti, e che una volta da mangiare gli avevano dato solamente un po’ di sale. Venne fuori che era successo il giorno stesso in cui la madre aveva regalato appunto un po’ di sale ai fatebenefratelli; scoprono quindi che tutte le volte che la madre dava qualcosa alla confraternita a Granada, lo stesso riceveva il figlio in Italia.

Giovanni sostenne molte lotte coi diavoli, che gli apparivano alla vista: una volta ne fu malmenato. Un’altra volta un diavolo gli apparve in forma di negretto danzante, che cercava di disturbarlo mentre rifaceva i letti, finché gli fece sbagliare la semplice operazione. Quando il diavoletto gli fece notare lo sbaglio, Giovanni si chinò a baciare la terra chiedendo a dio perdòno per la trascuraggine.

Un giorno vide che un diavoletto rideva a crepapelle su un ponticello che traversava un fossato, laddove poco prima una dama splendidamente abbigliata era passata. Richiesto da Giovanni di che cosa ridesse, il diavolo disse che un suo collega, piazzato sullo strascico della dama, a causa d’uno scarto improvviso della falda aveva perso l’equilibrio ed era caduto in acqua. Giovanni s’era raccomandato che nella prèdica successiva ci si ricordasse d’avvertire i fedeli che il diavolo guarnisce le vesti troppo sfarzose.

Dal 1886 è patrono dei malati; dal 1930 è patrono degl’infermieri. [12 07].

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