SAN GIOVANNI DI DIO VISTO DAL CARD. GIOVANNI COLOMBO – Angelo Nocent

San Giovanni di Dio - vetrata

Fra Gérasime Antropius - Spiritualità O.H.

SESSANTATRE ANNI FA

Ho tra le mani un libro del Padre Gérasime Antropius, sacerdote francese dei Fatebenefratelli, edito nel 1950 e tradotto in italiano nel 1951, ma ormai dimenticato. Titolo: “LA SPIRITUALITA’ DELL’ORDINE OSPEDALIERO DI S. GIOVANNI DI DIO”. Riapro, dopo tanti anni, e mi balza all’occhio la prefazione che porta la firma di un certo Don Giovanni Colombo, nome e cognome comunissimi in Lombardia.

Giovanni Colombo vescovoMi è subito chiarissimo: si tratta, senza ombra di dubbio, del futuro Arcivescovo di Milano. Leggo tutto d’un fiato e decido che lo scritto prezioso va assolutamente rimesso in circolazione.

Le nove paginette, ancora fragranti come pane appena sfornato, a due giorni dalla festa liturgica di San Giovanni di Dio 2014, ritengo meritino di essere condivise. Si tratta di cose risapute, certo, ma dette con quella maestria e capacità di messa a fuoco che contraddistinguono l’autore. Solo da una breve citazione del futuro Cardinale della Chiesa Ambrosiana si ricava non solo la sintesi di cinque secoli di storia dell’Ordine ma anche una nuova propulsione, in sintonia con il motto che spopola proprio tra i Fatebenefratelli nel nostro 2014:

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Di Giovanni Ciudad e di ogni suo leale seguace si deve ripetere ciò che Alessandro VIII ha scritto nella bolla di canonizzazione [di Giovanni di Dio]:

Donava alla carità ciò che sottraeva al piacere e trasformava la sua astinenza in nutrimento del povero“.

Quando è realmente l’amore che comanda, anche la fatica diviene senza fatica e il sacrificio senza sacrificio”.

La svolta storica in atto, con un coinvolgimento  più diretto dei laici collaboratori  (“La Famiglia Ospedaliera”), non potrà mai far perdere di vista l’evoluzione subita dai Fratelli Ospedalieri ,  a partire da San Giovanni di Dio. Pur  con alterne vicissitudini, dalla Chiesa sono stati posti tra gli Ordini dei Mendicanti, con il significato che tutto ciò  rappresenta. E, mentre rispolvero il documento,  penso proprio alla  “Famiglia”,  che potrà essere allargata fin che si vuole, ma che non potrà mai scostarsi dall’originario progetto dello Spirito Santo, dalla primitiva motivazione di fondo, costante nei secoli,  di cui bisognerà cercare di appropriarsi._Scan10541

Giovanni Colombo Arcivescovo di MilanoGiovanni Colombo


Fosse eredità della sua stirpe o influsso del suo tempo, fosse il suo genio particolare, il fatto è che San Giovanni di Dio ebbe l’anima di un grande avventuriero.

La sua stirpe immaginosa e appassionata è quella dei navigatori intrepidi (Vasco de Gama pare sia nato lui pure a Montenor-o-Novo come il Santo) e dei missionari che risolcavano le vie degli scopritori non più in cerca di ricchezze terrene ma di anime immortali.

Il suo tempo è tutta una primavera epica, fiorente di ideali patriottici e religiosi, di partenze misteriose, di viaggi fiabeschi, di imprese ardimentose per mare e per terra, di lotte e conquiste.

teresa avila 8L’afflato eroico della stirpe dell’epoca si comunicava come un fatale contagio anche all’anima ingenua dei fanciulletti. Noi sappiamo che Teresa d’Avila bambina, preso per mano il fratellino rodrigo, concertò con lui una fuga, decisa a recarsi nella città dei Mori con l’unico miraggio di morire martire: a due chilometri dall’abitato i due bambini furono scoperti da uno zio che li ricondusse a casa, alla madre che, desolata, li piangeva perduti. Non altrettanto fortunata fu la madre del piccolo Giovanni Ciudad. Una notte, questi fuggì dietro un ignoto pellegrino in cerca di grandi e belle avventure: e non aveva che otto anni. Vi ritornerà dopo ventisette anni di assenza, ma per ritrovarvi la casa deserta: sua madre era morta di strazio dopo le inutili ricerche del figlioletto; suo padre, affranto dalla duplice sventura, aveva cercato la pace in un convento dove era morto come un santo.

E’ stato scritto dal Taine: Momento fantastico e superiore della specie umana, quello…Dal 1500 al 1700, la penisola iberica è forse la regione più strana del mondo”. La vita e la spiritualità di san Giovanni di Dio ne fa testimonianza. Per quanto e quali avventure non è egli passato!

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  • Pastorello a Oropesa,
  • sovrintendente ed economo;
  • poi soldato imperiale alla frontiera dei Pirenei nella stessa guerra in cui combatteva Iñigo di Loyola e anch’egli ferito nello stesso anno 1521;
  • poi ancora pastore, e di nuovo soldato contro il Turco sotto le mura di Vienna,
  • pellegrino a San Giacomo di Compostella,
  • manovale in Africa,
  • libraio ambulante a Gibilterra,
  • e infine sconvolto dalle prediche di San Giovanni d’Avila
  • e ricoverato come pazzo nell’ospedale di Granata.

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 A quest’ultima notizia temo che un sorrisetto malizioso sforerà le labbra degli uomini moderni, saputi e prevenuti. Era da aspettarselo; ecco un soggetto da clinica psichiatrica!”. Non intendo qui rispondere esaurientemente, ma solo indurli a una riflessione che li renda più dubitosi della loro opinione, più prudenti nel giudicare ciò che forse non è facile capire, insomma, più profondi. Il nemico irriducibilmente feroce dell’amore di Dio è l’egoismo che s’abbarbica nei fondi e sottofondi della natura umana con mille indistricabili radici ripullulanti ad ogni taglio. Solo a prezzo di trivellanti sofferenze lo si può disbarbicare. A volte, specialmente quando i disegni di Dio richiedono una bonifica completa, o quasi, della natura, la volontà umana non basta, occorre che intervenga l’azione di Dio con le cosiddette prove passive. Ecco, allora, le tribolazioni straordinarie interne ed esterne, le umiliazioni più cocenti, le malattie fisiche e psichiche. Non è da meravigliarsi se in questo arduo lavoro di purificazione la natura possa risentire scosse che talora ne facciano perdere momentaneamente il normale equilibrio. Anche la santità, come la scienza ed ogni altra grandezza, ha i suoi rischi.

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Può darsi che la follia di Giovanni Ciudad sia stata soltanto una simulazione ricercata di proposito, a scopo ascetico, Può darsi che sia stata un’interpretazione volgare del fervore che lo trasportava ad atteggiamenti inconsueti, ad azioni singolari, giustificabili in quel clima d’esaltazione mistica che non raramente si riscontra nella spiritualità iberica. E può darsi pure che in parte sia stata anche un reale morbo psichico: contraccolpo nervoso del logorìo intenso a cui la grazia purificatrice sottoponeva quell’ardente natura e in pari tempo esperienza preziosa per le imprese che Dio lo chiamava a compiere. Comunque, fu  tale malattia che per troppi aspetti sconcerterà sempre le dotte diagnosi dello psichiatra. Basti pensare all’uomo nuovo e all’opera meravigliosa, che ne uscirono. Poiché fu proprio nella notte di quel morbo che spuntò nello spirito di San Giovanni di Dio la luce riorganizzatrice ed orientatrice delle sue aspirazioni eroiche, fin allora saltuarie e disperse in molteplici direzioni.

Uscito dall’ospedale. egli è deciso a seguire un’idea che ormai gli brilla chiara davanti: amare Dio nel prossimo, e il prossimo nella sua carne sofferente. Sarà ancora e sempre l’avventuriero del buon Dio, ma non più ramingo per le strade del mondo esteriore, bensì per le vie del mondo interiore della carità: mondo assai più vasto di quello fisico, più interessante, più irto di rischi e di sorprese, più ricco di tesori. Cominciano così le nuove avventure del cavaliere innamorato che va a liberare i poveri dalla schiavitù del bisogno, che, abbattendo pareti d’ipocrisia e di vergogna, salva ragazze pericolanti e risolleva donne cadute nella cattiva vita, che esplora con ronde infaticabili di giorno e di notte i vicoli malfamati e la periferia della città per raccogliere e soccorrere bambini e vecchi, orfani e vedove, sventurati e malati.

*  *  *

Papa Francesco

San Giovanni di Dio non è stato uno speculatore teorico, ma un attuatore pratico. Non ci ha lasciato una dottrina sulla carità, ma un esempio affascinante. Egli è uno che sulla terra ha aumentato l’amore, non “con le labbra e le parole” ma “coi fatti e in realtà” (1 Gv 3,18).

Gli  bastò un passo del Vangelo: “Qualunque cosa farete anche al più piccolo dei miei fratelli l’avrete fatto a me” (Mt 25,40).

Di questo passo gli è bastato il comandamento dell’Evangelista di cui portava il nome: “Noi sappiamo di essere passati da morte a vita perché amiamo i fratelli…Se uno pretende d’amar Dio e resta freddamente indifferente davanti al suo fratello, sappiamo che è un mentitore. Infatti, non amano il fratello che egli vede, come potrà amare Dio che non ha mai vdisto?” ( 1 Gv 3,13; 4, 19-20). Su queste lineari verità della rivelazione divina ha costruito tutto l’edificio della sua santità personale e della sua opera ospitaliera.

Si persuase irremovibilmente di due cose. La prima è che uno dei modi di permanenza di Gesù sulla terra sta nella sofferenza degli umili, degli abbandonati, dei poveri e dei malati: ogni corpo umano è carne del corpo mistico di Cristo, ogni piaga e ogni agonia umana è un prolungamento nei secoli delle piaghe  e dell’agonia del Figlio di Dio. La seconda  è che la via dell’amore vero si trova nella concretezza del sensibile: non si giunge all’amore del Dio invisibile se non attraverso l’amore dell’uomo visibile, non si giunge a guarire le piaghe invisibili dell’anima dell’uomo se non attraverso l’amore alle piaghe visibili del suo corpo sofferente.

Nella luce di queste certezze egli fece un tempio dell’ospedale: il servizio degli ammalati divenne un OPUS DEI, una liturgia d’amore e di dolore con le sue rubriche minuziose indicanti la cura, la dieta, la visita, a ore fisse e a qualsiasi ora.

San Giovanni di Dio con il suo esempio ha tracciato un perenne cammino di perfezione. Questo cammino si svolge tutto tra le corsie  e le camere della sofferenza umana, e non ha nulla da invidiare ai più celebri cammini ideati da San Giovani della Croce, da Sant’Ignazio di Loyola, da Santa Teresa d’Avila, da da San Francesco di Sales.

Non ha da invidiare a quelli le rinunce più sincere, spogliatrici, crocifiggenti, totalitarie. A un giovane (Luis Bautista), che mostrava qualche velleità di diventare suo collaboratore nell’apostolato dei malati, diceva apertamente: “Dovete lasciar la pelle, sacrificandovi in tutto. Ricordatevi di San Bartolomeo che, dopo essere stato scorticato, portava la propria pelle sulle spalle…”. L’infermiere che cura i  malati per amor di Dio deve farsi loro servo, servo sempre pronto, sempre generoso fino a indovinare i loro desideri, fino a soggiacere a tutte le loro richieste e pretese senza mai avanzare le proprie, fino a dare la propria pelle per coprire di carità la sofferenza altrui.

E neppure ha da invidiare agli altri cammini le esperienze mistiche. Intanto bisognerà ricordare che ogni rinuncia è comandata dall’amore ed ha per fine l’amore. Di Giovanni Ciudad e di ogni suo leale seguace si deve ripetere ciò che Alessandro VIII ha scritto nella bolla di canonizzazione: “Donava alla carità ciò che sottraeva al piacere e trasformava la sua astinenza in nutrimento del povero”. ”Quando è realmente l’amore che comanda, anche la fatica diviene senza fatica e il sacrificio senza sacrificio”.

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Poi, man mano che il servizio del malato si fa più puro nello spirito di fede, più generoso nel dono di sé, sorridente e fresco pur nella monotonia o nell’incomprensione ingrata, il ministro degli infermi potrà sperimentare una pace e una soddisfazione intima che gli faranno sentire sempre più vicino il Signore Gesù. Forse non gli avverrà mai, come è capitato a San Giovanni di Dio, di vedere d’improvviso il malato trasfigurarsi in Cristo in uno sfolgorio di luce. Questa è un’esperienza limite che egli deve aspettarsi in pienezza oltre il velo della morte. Ma fin da quaggiù l’amorosa liberalità del Signore gli può venire incontro con incoraggiamenti interiori, con dolcezze ineffabili, con energie soavi e forti, che di quell’esperienza sono le messaggere precorritrici.

Questi presagi e pregustamenti gli renderanno sopportabile e facile anche ciò che alla natura sembra insoffribile e durissimo, gli renderanno  gustoso e gioioso anche ciò che  comunemente è sentito come ripugnante.

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Guadalupe è un comune spagnolo di 2.288 abitanti situato nella comunità autonoma dell’Estremadura sui pendii della sierra dello stesso nome ai confini con la Castiglia, vicino al fiume Guadalupejo. È noto per il famoso santuario de Nuestra Seňora de Guadalupe, fondato nel 1340 da Alfonso XI re di Castiglia dopo aver vinto i Mori nella battaglia del rio Salado.

Altar-mayor-Monasterio-de-La-Virgen-de-Guadalupe-Caceres-Extremadura-Espaa-a28897220Nel grande pellegrinaggio verso Guadalupe, ove si recava per interrogare la Madonna sull’orientamento definitivo da dare alla sua vita, San Giovanni di Dio fu fermato dalla notte e dalla pioggia torrenziale a Fuenta-Ovejuna.

Nessuna porta si aperse alla sua voce che nel freddo e nel buio invocava un riparo. Allora egli si recò sulla piazza col fardello di sarmenti che ogni giorno raccattava nei boschi attraversati. Con la pietra focaia riuscì ad appiccare una scintilla alla sua fascina, e il fuoco divampò. Divampò un fuoco che la fittissima pioggia non riusciva a spegnere; e da molte finestre la gente incuriosita guardava al prodigio con aria stupefatta.

Fuente Ovejuna - primaveraGli anni passano, i secoli trascorrono, ma la povertà, la sofferenza e la miseria umana restano sempre tra noi. In mezzo ad esse da quattro secoli [n.d.r.1951] arde il fuoco della carità ospitaliera acceso in quella notte da San Giovanni di Dio. Non appena sulla piazzetta di Fuente-Ovejuna, (nella foto)  ma ora adesso arde in 190 ospedali dispersi in 40 nazioni diverse, tenuto acceso da 3.000 seguaci del Santo per la consolazione di 40.000 sofferenti.
[n.d.r. – I dati si riferiscono all’epoca: 1951]
Nessuna pioggia gelida d’egoismo è mai valsa a spegnerlo. Quel Fuoco arde, arde…Dalle finestre del loro borghesismo e del loro edonismo molti lo guardano ancora esterrefatti e si chiedono: come mai?

San Benedetto MenniPuò darsi che he qualche giovane leggendo questa monografia di P. Antropius, che   il dott. Lino Montagna ha volto nella nostra lingua con finezza e amorosa penetrazione, si senta nel cuore risuonare il promo squillo irresistibile di un grande appello.

Dio faccia che sia così! Migliore augurio non so rivolgere da questa prefazione all’Autore e al Traduttore.

                                 

                          Don Giovanni Colombo

granada finestra sul mondoGranada

2014-03-007

Melograno nel cuore

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