FRA GIOVANNI MARIA ALFIERI: RIFORMATORE MA SENZA IMPOSIZIONI – Giuseppe Magliozzi o.h.

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La Madonna dell’Aiuto o del latte, venerata nel duomo di Milano
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RIFORMATORE, MA SENZA IMPOSIZIONI

Nel bicentenario del Padre Alfieri 

Di Fra Giuseppe Magliozzi

Si conclude oggi l’anno celebrativo del bicentenario della nascita di fra Giovanni Maria Alfieri, che vide la luce in quel di Milano il 26 marzo 1807 e morì a Roma il 3 agosto 1888.

Negli articoli che ho dedicato al bicentenario di questa straordinaria figura di Fatebenefratello, ho cercato di mettere in risalto due importanti aspetti della sua vita rimasti finora in ombra: il suo impegno a favore delle Conferenze di San Vincenzo de’ Paoli[1] e le iniziative che prese per avviare la riforma dell’Ordine[2] in risposta allo specifico appello che il Beato Pio IX aveva rivolto a tutti gli Istituti Religiosi con l’Enciclica Ubi primum/1 – 1847  del 17 giugno 1847. 

Quale Superiore Generale dei Fatebenefratelli egli perseguì la riforma del suo Ordine ricorrendo a due iniziative, una sul piano Comunitario e l’altra sul piano individuale. 
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Sul piano comunitario egli tentò d’avviar la riforma istituendo Comunità pilota i cui membri s’impegnassero a vivere radicalmente i Voti di Povertà e di Obbedienza. In due casi, ossia quello di Graz e quello di Barcellona, le Comunità pilota si espansero dando vita a Province Riformate, che poi mantennero a lungo lo spirito di riforma. Significativa è la testimonianza che ho ricevuto lo scorso maggio da padre Giusto Azpiroz, che in risposta ai miei articoli rievoca così quanto perdurasse vivissimo in Spagna, ancora alla metà del secolo scorso, l’attaccamento radicale alla povertà:

Scatola da scarpeDevo dirti che quanto hai scritto su padre Alfieri è stato per me come una “grazia” e m’è sembrato d’assaporare un bicchiere d’acqua fresca, rendendomi conto che fu dall’Enciclica “Ubi primum arcano” di Pio IX che sgorgò lo spirito della restaurazione dell’Ordine in Spagna. Una prova di come lo vivessimo è il ricordo di quel 21 giugno 1950 quando a 19 anni mi dettero la prima Obbedienza, trasferendomi unitamente a padre Felice Lizaso nell’Aspirantato di Barcellona come aiutanti di fra Giacomo Capdevilla, che ne era il Direttore. Mezz’ora dopo aver ricevuto la notizia, io e padre Felice eravamo nella Portineria di San Baudilio avendo come bagaglio una scatola di scarpe che conteneva il manuale delle preghiere, il messalino latino-spagnolo e l’occorrente per la toeletta. Quanto a biancheria, solo quella che avevamo indosso”. 

Quasi altrettanto duratura fu l’esperienza di Graz, che fin dal 1860 ottenne di separarsi dalla Provincia Austriaca per costituirsi come Comunità riformata, posta dal 1867 alla diretta dipendenza del Padre Generale e che andò estendendosi con nuove fondazioni, tanto da dar vita nel 1878 alla Provincia riformata di Stiria, la quale però fu poi quasi annientata dall’ultima guerra mondiale e finì per riconfluire nel 1949 nella Provincia Austriaca, rimasta sempre contraria alla Riforma.

Altre Comunità riformate abortirono sul nascere, come quella di Cremona[3], o ebbero vita effimera, come quella di Nizza[4], o perdurarono abbastanza a lungo, come le due Comunità di Brescia, fondate nel 1871 e nel 1882, ma non riuscirono a dar vita ad una Provincia riformata[5] o, come vivamente sperava il milanese Alfieri, ad attirare a loro la contigua Provincia Lombarda, che anzi puntò ad assorbirle per porre fine all’esperimento; a tale mira si oppose non solo l’Alfieri[6], ma anche San Benedetto Menni, che quando fu posto alla guida dell’Ordine rimase strenuo difensore di quella Riforma che aveva così efficacemente instillato nelle Comunità da lui fondate nella penisola iberica ed in Messico, e fu solo il suo successore fra Agostino Koch ad infine acconsentire nell’agosto 1912 all’annessione[7]. 

SUL PIANO INDIVIDUALE – Oltre a promuovere la nascita di Comunità riformate, fra Alfieri cercò d’incoraggiare sul piano individuale i Confratelli ad aderire alla Riforma e soprattutto insistette affinché i nuovi candidati sottoscrivessero al momento della loro Professione Religiosa alcune promesse addizionali con cui impegnarsi a vivere secondo lo spirito della Riforma i Voti di Obbedienza e di Povertà.

Ho riportato in precedenti articoli la trascrizione della formula sottoscritta nel 1868 da fra Giovanni Battista Orsenigo e da fra Luca Baronchi prima di emettere all’Isola Tiberina la Professione Semplice[8], nonché la trascrizione e traduzione delle 4 formule sottoscritte tra il 1908 ed il 1920 dai confratelli portoghesi Fra Manuel Maria Gonzalves e Fra Crisogono Gonçalves Nogueira[9] al momento dei Voti Semplici e di quelli Solenni, ma è documentato che lo stesso facevano i professandi della Provincia Stiriaca[10] e andrebbe verificato se, come suppongo, accadesse lo stesso nella rinata Provincia Francese, il cui Rifondatore, fra Giovanni di Dio de Magallon, fu il primo che fu incaricato dall’Ordine di cercare di costituire una Comunità riformata in quel di Tivoli[11].

Durante l’ultima mia sosta a Roma ho controllato nell’Archivio Generalizio le cartelle degli Atti di Professione dei confratelli dell’Isola Tiberina ai tempi di fra Alfieri e non solo ho trovato usuale che prima dei Voti Semplici i candidati sottoscrivessero formule identiche a quella di fra Orsenigo, ma in più ho accertato che pure confratelli già Professi erano invitati a sottoscrivere l’impegno di vivere secondo lo spirito della Riforma. Ad esempio, fra Benigno Manetti, che abbiamo visto nel 1869 fondare la Comunità riformata di Nizza, aveva il 3 ottobre 1866 sottoscritto l’impegno ad “essere preparato e disposto a qualunque eventualità, ad andare ovunque l’obbedienza mi chiamerà, pronto, prontissimo a lasciare ad ogni istante e studio e officio e ad osservare qualsiasi altra forma di vita, che venisse dai Superiori introdotta e praticata quindi dall’Ordine suddetto”..

A partire dal 1870 l’impegno a vivere secondo lo spirito della Riforma è sottoscritto non più su un foglio a parte, ma come comma finale della dichiarazione prevista dalle Costituzioni di rinunciare ad ogni eredità di famiglia; e poiché tale rinuncia ad eredità era prevista fosse di nuovo sottoscritta al momento della Professione Solenne, anche in tale occasione è aggiunto il comma di adesione alla Riforma.

Sul finire del lungo mandato di fra Alfieri come Superiore Generale cessa la sottoscrizione dei suddetti impegni addizionali: l’ultimo che ho trovato è quello di fra Matteo Mangione, firmato il due maggio 1886, al momento della Professione Semplice, e controfirmato per accettazione da fra Alfieri. Un quinquennio dopo, fra Matteo rinnovò in calce al medesimo foglio il suo impegno scrivendovi sinteticamente “Ripeto la suddetta Rinuncia prima di emettere la Professione Solenne” ed è il nuovo Generale, fra Cassiano Maria Gasser, a controfirmare per accettazione.

Ad un giudizio superficiale potrebbe sembrare che la morte di fra Alfieri segnò la fine del suo sogno di graduale Riforma dell’intero Ordine. In realtà, abbiamo visto che la Riforma continuò ancora per lunghi decenni a dare splendidi frutti in varie nazioni dell’Ordine, senza contare che, studiandola oggi, ci si rende conto di quanto sia più realistico ed efficace impegnarsi in piccoli e ben localizzati passi, che utopisticamente illudersi che cambiando questo o quell’articolo delle Costituzioni si possa, come per un tocco di bacchetta magica, cambiare all’istante la prassi dell’intero Ordine..

L’età dell’oro non esiste e non è da noi raggiungibile su questa terra, ma resta pur sempre consolante il ricordarci che ogni piccolo e sincero impegno individuale continuerà eternamente a rifulgere in Cielo, non importa da quanto circostante grigiore fu accompagnato a suo tempo: la scatole di scarpe di padre Giusto e padre Felice potranno anche stridere di fronte ad altre nostre realtà che magari, come capitò nell’ultimo Capitolo Generale, suscitarono la perplessità di qualche invitato laico, ma nulla mai offuscherà il loro splendore come icona dello spirito di francescana povertà che alcuni confratelli seppero vivere in determinate circostanze.

Fra Giuseppe MAGLIOZZI o.h.

[1] Questi i miei articoli su tale argomento:Giuseppe Magliozzi, Nel bicentenario del Padre Alfieri. Pioniere Vincenziano, in «Il Melograno», IX, 23, 7 ottobre 2007; Giuseppe Magliozzi, Pioniere Vincenziano, in «Vita Ospedaliera», XLII (2007), 11, p. 15; Giuseppe Magliozzi, Nel bicentenario del Padre Alfieri. P. Alfieri e la Conferenza Vincenziana del Calibita, in «Il Melograno», X, 7, 24 febbraio 2008; e Giuseppe Magliozzi, La Conferenza Vincenziana di S. Giovanni Calibita, in «Vita Ospedaliera», XLIII (2008), 3, p. 19.

[2] Riservandomi di citare in seguito gli articoli che ho diffuso per email, questi sono quelli che ho stampato su tale argomento nella rivista della Provincia Romana:Giuseppe Magliozzi, Bicentenario del Padre Alfieri, in «Vita Ospedaliera», XLII (2007), 2, p. 15; e Giuseppe Magliozzi, L’efficacia delle promesse addizionali, in «Vita Ospedaliera», XLII (2007), 9, p. 15.

[3] Cf. Celestino Mapelli, Il Convento-Ospedale di S. Orsola in Brescia, Milano, Ed. Fatebenefratelli, 1973, p. 69.

[4] A Nizza, grazie ad un lascito del barone Giacomo Pauliani, fu aperto nel 1869 un Ospedale degli Incurabili, poi lasciato già nel 1876: fecero parte di questa Comunità riformata il fiorentino fra Benigno Manetti, il marsigliese fra Desiderio Brunet, il ligure fra Giovanni Capoduro ed il romagnolo fra Ambrogio Mazzoni. Cf. Giemme [Giuseppe Magliozzi], Un trafiletto di cento anni fa, in «Vita Ospedaliera», XXIV (1969), 12, pp. 301-302.

[5] Cf. l’esposto inviato a Pio IX nel 1877 dai frati di Brescia e riprodotto da C. Mapelli, op. cit., pp. 81-84.

[6] Per salvarla alla Riforma egli dapprima mantenne Brescia sotto la sua diretta dipendenza (cf. C. Mapelli, op. cit., pp. 81-84) e poi l’annesse alla Provincia Romana, a quel tempo ancora sotto suo stretto controllo (cf. Giuseppe Magliozzi, Una vicenda dei Fatebenefratelli durata quasi tre secoli. Il lento riapprodo all’unità giuridica, in «Il Melograno», X, 10, 21 marzo 2008, p. 8).

[7] Nei Verbali del Definitorio Generale, essendoci ancora Menni, si legge “Alla domanda delle 2 Famiglie del nostro Ordine a Brescia si risponde, che quelle due Case furono per Decreto del S. Pontefice Leone XIII incorporate alla Casa Generalizia, per cui si deve stare alla decisione presa dalla S. Sede su di ciò” (seduta del 2 aprile 1912, p. 215). Ma appena insediatosi Koch, si legge “Avuto in conto la vicinanza delle Case di Brescia a Milano, ed il buono stato finanziario di esse, si decretò l’aggregazione delle medesime alla Provincia Lombardo-Veneta” (seduta del 24 agosto 1912, p. 223) e nella seduta successiva si puntualizza “I Religiosi che si trovano attualmente a Brescia, rimangano alla disposizione del P. Provinciale di Milano. Le dette Case devono uniformarsi agli usi e sistemi di detta Provincia” (seduta del 3 settembre 1912, p. 223).

[8] Cf. Giuseppe Magliozzi, Nel bicentenario della nascita. Padre Alfieri, Riformatore dell’Ordine, in «Il Melograno», IX, 13, 24 maggio 2007, p. 11.

[9] Cf. Giuseppe Magliozzi, Nel bicentenario del Padre Alfieri. Il ricorso ad impegni aggiuntivi privati, in «Il Melograno», IX, 14, 15 giugno 2007, pp. 3 e 4.

[10] Prima sia della Professione Semplice sia di quella Solenne i candidati erano invitati a firmare una “dichiarazione di voler perseverare nella vita comune perfetta e di promuoverla con tutto il cuore”. Cf. Celestino Mapelli – Giovanna della Croce Brockhusen, Padre Giovanni Maria Alfieri. Priore Generale dei Fatebenefratelli, Milano, Ed. Fatebenefratelli, 1994, vol. 3, p. 623.

[11] Cf.Giuseppe Magliozzi, Ricordando fra Pietro Paolo Deidda nel secondo centenario della nascita, in «Il Melograno», IV, 14, 20 settembre 2002, pp. 3-4

Pio IX

1855

 

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Perciò non poté non esortare i suoi religiosi a prestarsi generosamente negli ospedali. In più, il 17 agosto 1865 diresse la seguente supplica a Pio IX:

“B.mo Padre,

Alfieri-Giovanni-Maria_1Carne e salumiIl Generale dell’Ordine di San Giovanni di Dio, prostratosi SS.mi Piedi, implora da V.S. a favore di tutti i suoi Religiosi che si consacreranno all’assistenza dei poveri colerosi in qualsiasi Ospedale e Città la dispensa dal digiuno e dai cibi di magro, estensibile anche ai loro cooperatori e domestici finché il bisogno per il suddetto morbo lo richieda.

Supplica altresì da V.S. che tutti i suddetti, ogni qualvolta durante il morbo si accostino ai SS. Sacramenti, anche solo della confessione, e adempino alle condizioni solite, possano lucrare l’Indulgenza Plenaria, principalmente in pericolo di vita, ed essere confortati dall’Apostolic Benedizione di V. Santità, onde con maggior generosità sacrificarsi al bene spirituale e temporale dé poveri infermi.

Che della grazia….

                                                                                    Fra Giovanni Maria Alfieri                                                                                                  Generale dei Fatebenefratelli